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70° Corso AUC                                N° 5                             12 settembre 2020


             In prima linea - i miei giorni in compagnia del virus




            I primi giorni di marzo telefono a mio cugino che era caduto da una scala; mi rassicura sulle sue condizioni e io gli dico: ho un po’ di
            febbre, penso sia dovuta ad uno strapazzo perché con Zorka siamo stati a Serravalle Scrivia a fare spese (risatina). Ho chiamato il
            medico e mi ha consigliato ‘la quarantena’ visto il diffondersi di un virus. Passa qualche giorno e la temperatura non si abbassa (in
            particolare la mia), inoltre è arrivata anche una forte tosse cavernosa. Mia moglie chiama il 112, fanno domande su temperatura,
            tosse, altri disturbi e alla fine gli dicono: ci richiami se suo marito si aggrava (?!?!?)  La situazione non migliora, anzi non riesco più a
            mangiare, sembro uno zombi, mi alzo dal letto e mi sdraio sul divano; mia moglie è spaventata, lei per fortuna sta un po’ meglio; mi
            obbliga a richiamare il 112, mi mettono in attesa e vengo richiamato a fine giornata e dopo le solite domande sulla mia salute mi
            dicono: ci richiami immediatamente quando si accorge che la respirazione si fa affannosa. Comincio a preoccuparmi un pochino, ma
            forse per la debolezza non inquadro bene la gravità della situazione. Mia moglie riesce a contattare il medico che viene a visitarmi
            (poverino, anche lui in seguito è stato ricoverato e per fortuna guarito) privo dell’armatura idonea contro il coronavirus; mi misura la
            saturazione dell’ossigeno che risulta 83 e mi invita a richiamare 112 in quanto ritiene la mia situazione ‘grave’; finalmente il medico
            dell’emergenza si attiva per inviarmi un’ambulanza per il ricovero. Sono trascorsi una decina di giorni e, dopo aver aspettato diverse
            ore al pronto soccorso, mi ricoverano (Clinica San Rocco di Ome, in provincia di Brescia) e mi tranquillizzo perché finalmente sarò
            curato  per  bene.  In  camera  con  me  c’è  un  signore  che  respira  a  fatica,  si  sente  il  rumore  dell’ossigeno  aperto  al  massimo,  le
            infermiere a fatica riescono a fargli ingoiare le medicine e mi sembra sempre meno lucido e si lamenta, purtroppo dopo due o tre
            giorni, di notte, un’infermiera chiama la collega e gli dice che il poveretto non respira più.   In poco tempo lo hanno ‘chiuso’ in un
            sacco e portato via insieme alle sue cose, ed ora il letto è pronto per un nuovo sfortunato. Questo momento ha fatto crescere in me
            la paura e mi sono sentito come stretto da una morsa di panico nel vedere il suo cellulare spento, in quei tre giorni non aveva mai
            suonato, nessuno sapeva nulla di lui. E se fosse capitato pure a me? Se mi fossi aggravato? Se non avessi più potuto parlare con mia
            moglie o con un amico? Se il telefono si spegneva…..chi avrebbe avvisato a casa? Il 20 marzo sento Roberto Spagnoli, ma ancora
            ho febbre, tosse, non mangio da una dozzina di giorni e mi sento debole. Il 23 marzo parlo con Giuseppe Dieni, la situazione non è
            migliorata; mi hanno confermato la polmonite bilaterale da coronavirus, però comincio a mangiare omogenizzati alla frutta e pastina.
            La terapia giornaliera prevede una quindicina di pastiglie varie e 6/7 flebo; non credo di essere grave perché non mi hanno intubato
            e spero di togliere quanto prima anche la mascherina. 25 marzo, migliora la tosse, la temperatura e l’ossigenazione, la dottoressa mi
            ha detto che sto migliorando. Ogni tanto vedo passare in corridoio un lettino coperto come quello che ha portato via il poveretto
            che era in camera con me, ma io posso ancora sentire la voce della mogliettina che mi riempie di contentezza. 26 marzo le flebo di
            tachipirina non le faccio più, la febbre mi ha lasciato. Anche il mio nuovo compagno sta meglio e siamo entrambi contenti. Ci hanno
            attivato il televisore in camera, subito lo accendo ma ci sono le immagini dei mezzi militari che trasportano le bare, non l’abbiamo più
            accesa. 28 marzo ho ancora un po’ di tosse, mangio e il cibo mi sembra eccellente, non ho più la mascherina ma gli occhialini e due
            cannucce che entrano nel naso. Il mio compagno di stanza, oggi è stato dimesso, sono contento per lui e spero che a breve toccherà
            pure a me. Il nuovo compagno deve essere grave, ha una maschera per l’ossigeno grande e diverse flebo, anche per nutrirsi. 29
            marzo l’infermiera mi porta a fare una nuova tac ai polmoni. Infermiere e dottoresse tutte carine e cordiali anche se tutti i giorni si
            divertivano a ‘bucarmi’, peccato che tutte portano la mascherina, non potrò mai riconoscerle per ringraziarle. 30 marzo la dottoressa
            mi dice: il virus si è consolidato e se anche gli esami del sangue e delle urine saranno soddisfacenti mi lasceranno tornare casa. 1 o 2
            aprile mi portano a casa dove finalmente posso riabbracciare mia moglie, anche lei è stata per diversi giorni con tosse e febbre (non
            mi aveva detto nulla) e ha perso una decina di kg, io l’ho superata perché ne ho persi 12. Ora dobbiamo vivere separati in casa e per
            fortuna abbiamo 2 camere da letto e 2 bagni, mangiamo separati e stiamo a distanza. Mi chiamano diversi amici e sono contento, ma
            dopo qualche giorno ricomincio a preoccuparmi in quanto la pressione ha valori 88/54 e come mi muovo i battiti cardiaci salgono a
            130; tra le pastiglie che mi ha ordinato l’ospedale e quelle che già prendevo, passo la giornata ad ingoiarle un po’ alla volta (una
            ventina). Chiamo il mio medico, è ricoverato e c’è il sostituto, chiamo il 112 e riesco anche a contattare la dottoressa che mi curava in
            ospedale,  ma  nessuno  mi  risolve  il  problema.  Credo  di  capire  che  si  tratta  di  conseguenze  del  covid-19.  Passano  i  giorni  ma  la
            pressione è sempre ‘ballerina’ e a faccio molta fatica a stare in piedi e mi preoccupano i battiti cardiaci sempre alti, ma gli amici che
            sento telefonicamente mi dicono che ora la voce è tornata normale. Il 16 e il 17 aprile torno in ospedale per fare i due tamponi per
            sapere se sono finalmente negativo, devo prenotare un soccorso dei volontari perché ancora non riesco a guidare e tanto meno a
            camminare. Il 20 aprile comunico a tutto il mondo che sono guarito, il mio covid-19 è stato annientato. Da questo momento mi
            sembra tutto più facile, mangio e recupero forze (anche pancia), la pressione comincia a stabilizzarsi e pure i battiti del cuoricino. In
            questo momento che scrivo (luglio) sono in Croazia, vado al bar, a fare la spesa e in spiaggia ma cerco di tenere la ‘distanza’ e tengo
            spesso la mascherina; vedo tanta gente che non la usa. Se una persona non viene colpita non riesce a comprendere la gravità e
            che la prevenzione è assolutamente necessaria. Nel paese dove vivo in Italia, dei volenterosi ragazzi si sono messi a disposizione
            per portare medicinali e per fare la spesa ai vecchietti ed agli ammalati; un grazie anche a loro ed al Sindaco. Ho comunicato che al
            mio rientro tutti al ristorante per una bella pizzata. (Maurizio Brassi)








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